Betting for tuna!

Royal Clowder  Society of Caithness

A nord della Scozia, dove le Highlands si protendono per sfiorare le Isole Shetland, si incontra la Contea di Caithness, antica dimora di una tribù di Pitti, i Catti, da cui prende il nome.

Al confine con la Contea di Sutherland, si stagliano gli ultimi rilievi, i quali precedono la vasta distesa pianeggiante che accompagna dolcemente al mare.

Qui, il monte Morven ed i suoi vicini formano quella che dall’alto appare proprio come la sagoma dell’impronta di un gatto. Ed è proprio tra queste alture che si dice si nasconda un vecchio castello abbandonato, non indicato su alcuna mappa. Poiché si sa che ogni leggenda porta con sé un fondo di verità, non vi stupirà certo sapere che questo castello esiste eccome ed è la sede della più rinomata accademia di studi storico-scientifici del mondo felino: la Royal Clowder  Society of Caithness. Il maniero è una struttura massiccia di pietre grigie, con quattro torri cilindriche a delimitarne i vertici, circondata da un ampio e profondo fossato, sempre colmo d’acqua, tanto da farlo sembrare quasi galleggiare sulla sua superficie, caratteristica che ha mantenuto ancora ad oggi.

La storia delle origini di questa istituzione è antica ed alquanto avventurosa, per questo mi dilungherò a raccontarvela.

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La Tonnettomanzia

ovvero: l’arte di interpretare il fondo della scatoletta del tonnetto

Ciao a tutti!

Oggi vi racconterò di una nuova disciplina che mi sono inventato qualche tempo fa. Un giorno, guardando il tonnetto che rimaneva sul fondo della scatoletta dopo che gli umani l’avevano versata nella mia ciotola, mi sono chiesto: e se questi residui potessero significare qualcosa?

Mi spiego meglio: sicuramente conoscerete discipline come la tasseomanzia, attraverso la quale si può presagire uno scorcio del futuro solo osservando, con un occhio esperto, i fondi del tè.

Sulla base di questo, ho voluto creare la mia personalissima versione con i “fondi” del tonnetto, ma badate bene: tutto ciò è stato creato solo per divertimento e non ha nessuna base scientifica (a parte l’esame dei dati raccolti in termini di numero di eventi), inoltre non tiene conto di nessuna delle regole in vigore per le altre pratiche di divinazione.

Come scienziato, ovviamente non mi baso su quello che mi dice il tonnetto per decidere delle mie giornate, vi invito a fare lo stesso. 

Dopo tutte queste premesse, sono lieto di comunicarvi che, dopo alcune settimane di raccolta dati, sono giunto all’elaborazione dei principi per la pratica divinatoria di mia invenzione che ho chiamato “Tonnettomanzia”.

La Tonnettomanzia è l’arte di interpretare il fondo della scatoletta del tonnetto, sempre che il vostro gatto vi permetta di lasciarne un po’ nella lattina prima di costringervi a tirare fuori fino all’ultimo filettino (cosa che sono sicuro fate sempre…).

Per ottenere un risultato il più possibile non falsato da interventi esterni, occorre leggere il fondo della scatoletta dopo averla capovolta velocemente e aver fatto scendere il più possibile del contenuto, senza scrollare troppo. L’ideale sarebbe quello di riuscire a far cadere nella ciotola tutto o la maggior parte del tonnetto in un colpo solo.

Fotografate quello che resta, prima di darlo al vostro amico micio. 

Ora che avete la vostra foto, potete passare a confrontarla con i disegni riportati più avanti in questo articolo. 

Vi preciso che, tutte le considerazioni qui presenti sono state estrapolate da scatolette di metallo di circa 6 cm di diametro, contenenti tonnetto (senza salsa/ senza gelatina). Qualsiasi adattamento ad altre scatolette o contenuti potrebbe far variare in maniera imprevista ed imprevedibile il risultato.  Ah, quasi dimenticavo: io sono un gatto… dunque le indicazioni valgono per il vostro amico a quattro zampe…!

Vi confesso che, per decidere quale “presagio” associare ad ogni configurazione dei residui di tonnetto, ho raccolto un bel po’ di foto di scatolette (che fatica mangiare tutti questi tonnetti… no scherzo! Ho mangiato normalmente e ho monitorato un periodo abbastanza lungo, per avere un numero di eventi significativo) e poi… beh, poi ho inventato ad impulso la predizione, basandomi sulle sensazioni che mi trasmetteva ogni determinata disposizione di residui. 

Tuttavia, considerando complessivamente i dati raccolti da tutte queste scatolette, vi posso dire che ho fatto un buon lavoro: in generale, corrispondono abbastanza al mio stile di vita (ovviamente, non considerando gli imprevisti!).

Vi spiego brevemente come ho fatto a classificare tutte le evidenze che ho ottenuto, illustrandovi nel frattempo quello che ho ottenuto per me.

Innanzitutto, mi sono accorto che la quantità di residuo può variare da “residuo zero” ad una grande quantità. Questo è diventato il criterio di base per una prima differenziazione delle indicazioni che ne scaturiranno. Quindi, rovesciate il tonnetto e guardate: quanti residui sono rimasti? Vi do un aiuto per la valutazione…

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Alla scoperta della “Caf-fisica”

Buongiorno a tutti voi che seguite le mie avventure,

ormai è quasi inverno e da me ha già nevicato. In questo periodo non c’è niente di più soddisfacente che restare in casa e godersi il caldo del camino scoppiettante… meglio ancora se in compagnia di una vecchia conoscenza.

Vorrei raccontarvi proprio di quello di cui abbiamo parlato ieri, il Professor Dorito Orangie Rocwood, per gli amici intimi Rocky, un mio caro amico e compagno di innumerevoli avventure a sfondo archeologico. È uno dei massimi esperti di civiltà feline mesoamericane ai tempi in cui fioriva la civiltà Maya, nonché profondo conoscitore di quelle zone. 

È venuto a sottoporre alla mia attenzione un reperto portato alla luce nel suo ultimo scavo, non lontano da El Caracol, il quale apparentemente sembra un cubetto di terracotta, ma entrambi siamo convinti che per le raffigurazioni che vi sono state dipinte possa rappresentare una qualche forma di apparecchiatura scientifica. Comunque, non divagherò perdendomi nei dettagli delle nostre elucubrazioni, c’è tanta strada ancora da percorrere per arrivare alla decifrazione di quello che al momento abbiamo ribattezzato come l’”ArtùRockynismo” (il nome dovrebbe essere una specie di fusione dei nostri nomi e della parola “meccanismo”).

Le nostre riflessioni sono state aiutate dal tiepido crepitio del caminetto, accompagnate da una corroborante bevanda calda. Abbiamo tralasciato il solito tè per qualcosa di più tonificante: un ottimo caffè (accompagnato da sfiziosi biscottini al tonnetto).

Non ho potuto esimermi da una digressione sulla creazione del più iconico strumento per la sua preparazione, la moka, e sui principi fisici ad essa sottesi, che vorrei condividere con voi.

Innanzitutto, Rocky mi ha chiarito l’origine del nome, che deriva da una città dello Yemen, Mokha per l’appunto, che si dice essere stata uno dei primi e dei più rinomati centri di produzione del caffè.

L’ideatore di questo marchingegno, che avrebbe portato il “caffè come quello del bar” nelle case degli italiani, fu Alfonso Bialetti. L’anno in cui questo portento vide la luce fu il 1933. 

Si racconta che la lampadina gli si accese dopo aver osservato la moglie fare il bucato con la lessiveuse, una sorta di antenata della lavatrice. Essa è costituita essenzialmente da un recipiente metallico ampio, dalla foggia di un pentolone, avente un tubo al centro che termina con disco piatto forato lungo la circonferenza. 

La parte che appoggia sul fuoco, o comunque sulla fonte di calore, è costituita da un doppio fondo, la cui parte superiore è forata. L’acqua, con cui è stata riempita insieme ai panni, sotto l’azione del calore, viene portata ad ebollizione stato in cui per l’azione della spinta del vapore prodotto e dei moti convettivi che spingono la parte più calda, quella sul fondo appunto, a risalire. Essendo la parete superiore del doppio fondo bucata, l’acqua entra all’interno e risale lungo il tubo per poi ricadere, attraverso la parte terminale forata, sul bucato, ricoprendolo di acqua calda e detersivo “la “liscivia”).

Cerco di rappresentarvi sotto un piccolo schema di come è fatta la lessiveuse.

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Tunagrammi!

Ciao a tutti, ragazzi!

Come CCEO (Cat CEO) di questo sito, è da qualche tempo che mi​ sono messo alla ricerca del modo migliore di comunicare i dati graficamente, sia internamente alla nostra redazione, sia per gli articoli che prepariamo per voi. Sembrava già tutto visto e rivisto e, quindi, super noioso… quando ebbi l’intuizione di smettere di spremermi le meningi e di andare a farmi aprire un tonnetto. Ed ecco che, come un lampo, l’idea più innovativa che avessi potuto immaginare fino a quel momento durante tutte le mie indagini ha scintillato nella mia mente, rischiarando ogni dubbio: dovevo realizzare i TUNAGRAMMI!

Non posso descrivere il mio entusiasmo dopo aver avuto quell’intuizione felice, basterà solo dire che ho lasciato per un momento il tonnetto per andare a conferire con i miei umani e riferire loro questa fanstastica idea.

Ovviamente erano elettrizzati e, a quel punto, il mio lavoro di ispiratore micio-magnifico, sommo genio inventore di mirabolanti creazioni, era finito: potevo tornarmene tranquillamente al mio tonnetto.

Li ho lasciati produrre, andando a dispensare di tanto in tanto il mio pruttolare (ops: forse è un gergo troppo stretto, intendevo dire “fare le fusa”) benefico per motivarli. In verità l’ho fatto anche per controllare che tutto procedesse regolarmente, senza inceppamenti dovuti a ristagnamenti del progetto… non che i miei umani siano pigri, non è assolutamente quello il significato, e ammetto che forse avrei potuto esprimermi meglio. Diciamo che in tutti i progetti capita di incagliarsi in qualche scoglio ed io ero sempre pronto a gettare loro una cima per liberarli.

Dopo un​ mesetto di denso lavoro, ho il piacere di presentarvi i primi tunagrammi che abbiamo creato (li definisco “i primi” perché potrebbero sicuramente uscirne di nuovi !).

Quasi mi dimenticavo: lo sfondo dei tunagrammi è arancione (perché è il mio colore preferito!), però e possibile anche opzionare lo sfondo bianco.

Inizialmente, è nato lo “ScatterTuna-gram”, essenzialmente uno scatterplot (o, in italiano, un grafico a dispersione), cioè un grafico in cui poter evidenziare la relazione tra due variabili numeriche continue x ed y (nota: una variabile numerica continua è una variabile rappresentata da numeri, interi o decimali, spesso derivanti da misurazioni o rilevazioni).

Per farvi un esempio, vi propongo lo ScatterTuna-gram dell’ipotetica correlazione che mi aspetto vi sarà tra l’aumento della quantità dei miei tonnetti in relazione all’incremento del numero di articoli che pubblicheremo su Astro Artù: il grafico mostra chiaramente una relazione lineare e positiva tra le due variabili.

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I misteri della luce: Rifrazione

Bonjour ragazzi,

oggi voglio raccontarvi una scoperta in cui mi sono imbattuto mentre mi trovavo a Versailles. Ero andato a vedere un quadro in particolare, intitolato “Chat Angora Blanc” di Jean-Jacques Bachelier, che ritrae Madame Brillant, che secondo il mio albero genealogico è una mia illustre antenata. Qui potete vedere il quadro a cui mi riferisco e la grande somiglianza che c’è tra noi.

Chat Angora Blanc Jean-Jacques Bachelier, commons.wikimedia.org

Ero andato a visitare i luoghi in cui la mia antenata viveva e sono rimasto colpito dalla luce dei lampadari della sala degli specchi: la luce si scomponeva in tanti raggi di diversi colori e mentre questo pensiero mi girava in testa, io uscii per ammirare il giardino. Per poco, immerso nei miei pensieri, non finii per immergermi anche nella fontana Latona, dove vi scorsi sorpreso un’arcobaleno in mezzo alle goccioline d’acqua degli spruzzi della fontana. Tornato a casa, ho deciso di riprendere gli studi sull’ottica, argomento di cui sono molto appassionato e di scrivere questo articolo, primo di una lunga serie dedicata alla luce e ai sui misteri.

Qui vediamo descritto il passaggio del raggio luminoso dal materiale 1 al materiale 2.

Poiché i materiali hanno proprietà ottiche diverse, si avrà una variazione dell’angolo del raggio luminoso.

created by astroartu.studio

Dove:

  • n1 è il coefficiente di rifrazione del mezzo 1
  • n2 è il coefficiente di rifrazione del mezzo 2
  • v1=c/n1, velocità della luce nel mezzo 1
  • v2=c/n2, velocità della luce nel mezzo 2
  • c la velocità della luce nel vuoto
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La “medusa immortale”

Miao (ops…ciao!) a tutti, intrepidi esploratori!

Sono sicuro che tutti conosciate le meduse, ma scommetterei un baffo che ci sia qualcuno tra voi che ancora non ha sentito parlare della “medusa immortale”.

Bene: sapete che a me non piace lasciare nessuno indietro, quindi permettetemi di introdurre brevemente l’argomento, dandovi qualche informazione riguardo a cosa sia scientificamente una medusa. Mi scuso fin da ora se userò termini che potrebbero sembrare di difficile comprensione, ma riguardano nomi scientifici che non possono essere omessi nella descrizione. Qualora necessitiate di maggiori informazioni, potrete documentarvi sull’enciclopedia, su qualsiasi altro libro o sito internet desideriate.

Le meduse appartengono al phylum (definizione usata per la classificazione degli esseri viventi che indica generalmente il tipo a cui appartiene un animale) degli Cnidari. Gli Cnidari, conosciuti anche come Celenterati, sono animali che possiedono una simmetria raggiata e vivono in acqua. È interessante sapere che il termine “Cnidari” deriva dal termine greco knídē, che letteralmente significa ‘ortica’, appellativo che coglie in pieno una delle caratteristiche più conosciute di questi esseri viventi, ovvero il fatto di essere altamente urticanti.

Una medusa si sviluppa a partire da un polipo, che vive in colonie ancorate sul fondale marino. Raggiunta la maturità, da esso si possono generare sia altri polipi, che meduse. In dettaglio:

–  attraverso un processo definito come gemmazione, il polipo genera altri polipi. Generalmente, essi restano uniti al polipo che li ha dati alla luce e aumentano la dimensioe della colonia sul fondale marino. Tuttavia, in alcuni casi i polipi possono staccarsi dal fondo e vivere una vita indipendente;

–  particolari polipi, detti gonofori, hanno la capacità di generare meduse, le quali a loro volta tramite riproduzione possono concepire altri polipi.

Ecco di seguito un mio disegno che schematizza questo particolare ciclo vitale.

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Novità – Zampeggio

Ciao ragazzi!

Da oggi c’è una bella novità: ogni articolo proposto su AstroArtù.studio sarà accompagnato da un’indicazione della difficoltà degli argomenti trattati, in modo che ognuno possa conoscere indicativamente il livello di complessità di ciò che sta per leggere. 

Va da sé che argomenti con una difficoltà elevata richiedano una maggiore quantità di conoscenze pregresse per poter essere compresi a fondo, ma questo non significa che possano essere letti solo da pochi: ci impegneremo sempre ad illustrare i concetti nella maniera più comprensibile, in modo che possano essere avvicinati dal più vasto gruppo di lettori possibile.  

Se volete un consiglio, personalmente credo che la difficoltà non debba pregiudicare la curiosità: se vi interessa, leggetelo! Non importa quanto a fondo riuscite a comprendere quanto è scritto, l’importante è che abbiate imparato che esiste qualcosa che prima non conoscevate.

Ma come definire il grado di difficoltà in maniera “gattosa”? Niente di più semplice! Ed ecco che dalla parola punteggio non poteva che nascere “ZAMP-EGGIO”!

Come intuibile, lo zampeggio è un indicatore che associa il grado di complessità ad un numero di zampe. Si parte da 1 zampa (livello facile, colore verde) per arrivare a 5 zampe (livello molto-molto difficile, colore viola).

Solo per una maggiore chiarezza, inserisco i possibili zampeggi:

Sono sicuro che questo renderà migliore la vostra esperienza di lettura e le vostre nuove scoperte su AstroArtù, ci metto la zampa!

A presto!

Il lago ghiacciato

Salve a tutti, ragazzi!

Qualche tempo fa, mi è giunta la notizia della possibilità che, in tempi remoti, un’antica specie di tonnetto potesse essersi spinta fino a latitudini polari. Ovviamente, data l’astrusità di tutto ciò, ho voluto verificare di persona e sono partito. 

Non è stata di certo una spedizione facile e, come prevedibile, nessuna traccia di primitivi tonnetti fossili ghiacciati… stavo anche per rischiare seriamente di non riuscire a procurarmi i viveri per il viaggio di ritorno, se non fosse stato per la fisica, che ancora una volta mi ha tirato fuori dai guai e mi ha permesso di rimanere incolume. 

Sulla via del rientro, stavo navigando su un fiume non ancora completamente ghiacciato, quando la mia barca si è imbattuta in rapide minacciose ed è precipitata giù per una cascata. Ho perso tutti i viveri, gli strumenti, gli appunti… ma non temete, la mia memoria è di ferro! Purtroppo non posso dire lo stesso del mio stomaco, di qualcosa si deve pur vivere, che diamine! E la sola scienza, si sa, sazia solo la mente.

Ho vagato molto nella vana ricerca di qualcosa di commestibile, ma – ahimè!– a quelle latitudini, così vicine al circolo polare artico, il cibo non abbonda di certo e si cammina per sentieri impervi. Il freddo mi aveva devastato le zampe, ma sapevo di dover continuare a tutti i costi: da quello che mi ricordavo di aver visto sulla mappa, non molto lontano dal fiume da cui ero scampato per il rotto della cuffia avrebbe dovuto esserci un lago. E lago significava pesce, dovevo crederci e procedere a tutti i costi. Ormai, questa speranza era la sola forza che muoveva le mie zampe. Una volta riprese le forze e procuratemi della provviste, avrei persino potuto raggiungere qualche centro abitato e tornare alla civiltà.

Dovetti ancora accendere qualche fuoco prima di scorgere tra le conifere il tanto agognato specchio d’acqua, la fame mi aveva stremato. Pensate, dunque, che rabbia quando scoprii che il lago era ghiacciato, completamente! Ovvio, direte voi, a quelle latitudini che ti aspettavi di trovare? Certo… lo sapevo benissimo, ma parte di me si aspettava un colpo di fortuna… 

Solitamente, al centro  il ghiaccio è meno spesso e avrei potuto avere una possibilità di inciderlo con le unghie per ricavare un piccolo foro per acciuffare qualche pesce. Tuttavia, se avessi camminato su quella superficie dura e gelata, il danno alle zampe sarebbe stato peggiore rispetto a quello provocatomi fino a quel momento dalla neve fresca, perché si aggiungeva il rischio di incollarmi i cuscinetti al ghiaccio stesso.

Ispezionai la riva, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi e all’improvviso la scorsi. No, non era un miraggio: era proprio una slitta di legno a circa 1.5 m/ 2 m dalla riva. Se fossi riuscito a fare un bel balzo, probabilmente avrei potuto arrivare verso il centro del lago, aiutato anche dalla spinta che avrei impresso alla slitta atterrandovi dopo il salto. 

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Il Pisolino – La spiegazione del moto dei corpi in caduta libera

Ciao ragazzi!
Ho un’abitudine piuttosto curiosa: adoro addormentarmi sopra ad un vecchio televisore che ho nel mio salotto. È abbastanza spazioso per sdraiarmi e fare un bel pisolino, senza rischiare che nessuno mi pesti la coda.
Purtroppo, dato il ripetersi di certi episodi, credo sia ormai evidente che non sia sufficientemente largo per portare a termine il mio sonnellino senza… cadere!


Eh già, ragazzi: sono costretto ad ammettere che, mentre sono profondamente addormentato, mi rilasso, mi distendo, mi rigiro e… cado (anche se non mi faccio niente, perché come tutti i gatti cado sempre in piedi)! Capita solo di tanto in tanto e, preciso, è tutta colpa della gravità. Ma queste sono altre storie: quello che vi voglio raccontare oggi riguarda il moto dei corpi in caduta libera.


Tutti noi siamo sottoposti alla forza di gravità, la quale fa sì che tutti i corpi in caduta siano attratti verso il suolo con la stessa accelerazione, definita come = 9.8 m/s . Questa conclusione scientifica fu formulata per la prima volta da Galileo Galilei, padre del metodo sperimentale, ed era apertamente in contrasto con quanto si credesse prima di lui, cioè che corpi con peso maggiore potessero cadere più velocemente di quelli più leggeri. Niente di più sbagliato!

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